Francesca Lasagna ci racconta le prime impressioni dell’ultima arrivata in banda.
LE PRIME IMPRESSIONI DELL’ “ULTIMA ARRIVATA”
di Francesca Lasagna
Avevo dodici anni quando ho iniziato a suonare nella Banda di Occimiano Cominciai intuire che il mio ingresso nella Banda sarebbe stato imminente quando, alle lezioni di clarinetto, il maestro iniziò ad assegnarmi marce e ballabili tipici del repertorio bandistico.
Da un lato ero contenta perché avrei raggiunto il mio obiettivo, dall’altro, temevo di non riuscire ad andare a tempo con il resto della Banda soprattutto quando avrei dovuto suonare i pezzi del “librone”, quelli che si suonano ai concerti.
La cosa che più mi colpì quando andai per la prima volta alle prove fu il salone: così solenne, con i gagliardetti dei carnevali cui la banda aveva preso parte, gli attestati di partecipazione del re e quel grosso quadro sulla parete di fronte che rappresenta una ragazza vestita di bianco che suona la cetra, e, allo stesso tempo, così familiare, con il calendario degli appuntamenti dove il nome di qualche paese era stato storpiato dal mitico P.R. della Banda Giuseppe Anarratone chiamato da tutti “Rodoni”, non si sa per quale oscura ragione, con i libri arancioni disposti più o meno ordinatamente sui leggii e con il piccolo frigo bianco, per tenere al fresco buon vino e bibite, indispensabili dopo una serata di prove.
Quando iniziammo a suonare fu, per me, un vero disastro, proprio come avevo immaginato: finivo il pezzo quando gli altri erano appena a metà, oppure avevo da poco iniziato l’introduzione quando gli altri suonavano “già” il finale.
Ma a tenermi alto il morale c’erano due clarinettisti molto speciali: Charlie e Patrucco.
Avranno avuto all’incirca settant’anni e, ogni volta che il maestro diceva il numero del brano da suonare, capivano ognuno in modo diverso e poi discutevano animatamente su quale fosse la giusta interpretazione, entrambi certi della propria, finché, quando sentivano il resto della Banda attaccare, sfogliavano in fretta il libro fino alla pagina che si stava suonando, imboccavano il clarino e iniziavano a suonare dal punto in cui, all’incirca, gli altri nel frattempo erano arrivati a suonare.
Patrucco, quando gli veniva assegnata la parte del 3° clarinetto, diceva, scherzando, di aver fatto una brillante carriera da quando, ragazzo, aveva iniziato a suonare come 1° clarino, poi, da un po’ di tempo le sue parti erano quelle del 2° e, qualche volta, del 3°.
Charlie, invece, mi raccontava le prove con il coro di Lu e la sua giornata, alla fine della quale, anche se stanco, veniva, sempre sorridente con il suo cappello un po’ storto e la sigaretta all’angolo della bocca, antico vizio che si rammaricava di aver preso, alle prove della Banda.
Quando iniziai a suonare alle processioni notai la presenza di un altro clarinettista: Vincenzo.
Non più giovane, minuto, con i suoi battetti e il vecchio cappello, un tempo fondamentale ma che oggi nessuno, tranne qualche nostalgico, porta più, stupiva tutti per il suo clarino che lui stesso aveva adattato alle esigenze delle sue mani colpite dall’artrosi, pur di continuare a suonare.
Monetine saldate con cura alle chiavi facilitavano la diteggiatura insieme a tanti altri piccoli accorgimenti.
Anche grazie a personaggi come Charlie, Patrucco e Vincenzo, ho capito che la passione per la musica si accompagna sempre all’amore per la vita e al gusto per le piccole cose.