Gianni Allegro ci parla della singolare esperienza cinematografica
de La Filarmonica.
Genuino controcanto alle cronache ufficiali.
IL FILM
di Gianni Allegro
“Ehi ragazzi, ci hanno chiesto di partecipare alle riprese di un film. Due giorni di impegno. Niente lira, s’intende, ma citano la banda nei titoli di coda! Che ne dite?” Questa l’eccitante proposta che come un fulmine a ciel sereno arriva da ‘Rodoni’ una sera d’estate del 1998. Ovviamente siamo tutti d’accordo, con mugugni mal repressi da parte della componente femminile della banda, vilmente esclusa da questa esperienza per esplicita richiesta della produzione del film. I maschietti iniziano invece a dare libero corso alla fantasia: qualcuno si immagina già candidato all’Oscar quale miglior attore non protagonista, a fianco di Sharon Stone o Michelle Pfeiffer. Già, a proposito, quale sarà l’argomento del film?
Così la mattina del sabato deputato alle riprese ci ritroviamo, i 15 prescelti, alle 6 e mezzo del mattino in una cascina in riva al Po, ad attendere un po’ insonnoliti di essere convocati per la vestizione e il trucco. Dopo circa mezz’ora di attesa siamo già vagamente intirizziti per l’aria frizzante e umida della ‘bassa’ padana, ma ancora incuriositi ed eccitati dal fatto di poter osservare da vicino il mondo ‘tentacolare’ (come ancora lo immaginiamo) del cinematografo. Aguzziamo gli occhi per cercare la protagonista e le altre attrici, che ci auguriamo giovani, belle e soprattutto provocanti, ma per adesso di loro nemmeno l’ombra.
Dopo un’altra mezz’ora di inutili tentativi il primo entusiasmo è scemato, ma ecco che ci chiamano alla vestizione in un capannone improvvisato nell’aia della cascina! E qui incominciano i primi problemi, perché ci dicono che dobbiamo spogliarci e indossare i panni di musicisti di strada del primo novecento, ma gran parte dei vestiti d’epoca sono già stati assegnati alle comparse, per cui ci si deve arrangiare con quel che resta, tanto, si sa, i musicisti ‘vestono tutti in modo un po’ stravagante’. Così c’è chi indossa una giacchetta di due taglie più piccola, chi una palandrana invernale consunta, chi cappellini ridicoli. A proposito di cappelli, Pinìn, il nostro clarinettista, appoggia il suo (proprio il suo, non quello di scena) su un tavolo nel capannone ed ecco che questo sparisce come per magia. Pensiamo che il prezioso cappello sia stato indossato per sbaglio da qualche comparsa, ma sta di fatto che se ne perdono per sempre le tracce, con solenne arrabbiatura di Pinìn e definitivo addio al suo buonumore.
Ci ritroviamo quindi vestiti in modo buffo sull’aia a prenderci reciprocamente in giro quando arriva l’ordine di recarsi al trucco. Intanto di attrici famose nemmeno l’ombra ma, pensiamo ancora un po’ ingenuamente, le star compaiono sul set soltanto dopo le 11 del mattino, e quindi non perdiamo le speranze. Ci mettiamo quindi ordinatamente in fila in attesa del nostro turno quando iniziamo a sentire urlacchiamenti del tipo: “Aho, ma ‘ndo vai? Ma che sta affà? Forza, sbrigateve!!!”. Incuriositi da tanta manifestazione di autorità, ci informiamo timidamente su chi sia il cerbero in questione. “Ma come, – ci viene risposto – non lo vedete? E’ l’aiuto-regista!” E un’altra fetta del segreto fascino del cinematografo se ne va per sempre.
Quando entriamo nello stanzino del trucco ci viene disegnato con il carboncino un segno geometrico su una guancia o sulla fronte, sul cui significato ci interrogheremo invano per tutto il giorno e per quello a venire, e crediamo di averla scampata così quando un urlo di un’addetta al trucco ci inchioda: “I capelli! Sono troppo lunghi! Tagliare, tagliare!” Veniamo così sottoposti a un taglio drastico e rozzo di cui porteremo i segni per diverse settimane. Qualcuno di noi obietta che in fondo così si risparmiano i soldi del barbiere, poi si vede riflesso in uno specchio e non riesce a trattenere una sequela di moccoli.
Finalmente, verso le 11 del mattino, siamo pronti per iniziare a girare. Veniamo portati sull’argine del Po, dove dobbiamo marciare avanti e indietro suonando una marcetta delle nostre, scelta a caso, tanto ci dicono che verremo doppiati. Appare così evidente che non avremo nemmeno la soddisfazione di sentire la nostra musica nel film. Incomincia a serpeggiare tra noi un vago scoramento, ma c’è ancora curiosità e inganniamo il tempo nelle pause scattandoci a vicenda foto-ricordo.
Intanto, tra una parola e l’altra scambiata con la ‘troupe’, scopriamo che stiamo girando scene di un flash-back della memoria dei due protagonisti del film (entrambi maschi, purtroppo), che ricordano la loro amicizia e l’infanzia comune nella campagna padana, prima di trovarsi su posizioni politiche opposte nell’età adulta. Avremmo più volentieri partecipato alla lavorazione di un kolossal erotico-sentimentale, ma concordiamo che agli inizi di una carriera non si può fare troppo i difficili, anche se ci chiediamo in quale circuito commerciale possa trovare posto un film così problematico e ‘indigesto’.
Dopo circa 20 esecuzioni di “Madame Renè”, una marcia tradizionale del repertorio bandistico, arriva la pausa pranzo, con grande soddisfazione di tutti, anche perché l’appetito vien suonando e noi siamo in piedi dalle 5 e mezza del mattino. Ci viene così consegnato il famigerato ‘cestino della comparsa’, ovverossia il cartoccio contenente il pranzo. Troviamo nell’ordine: un panino con il prosciutto, un panino con la mortadella, una banana, una mezza bottiglia di acqua minerale. Poteva andare meglio ma non è il caso di fare gli schizzinosi, anche perché si è alzato un bel sole limpido che incoraggia il buonumore. Così i brontolii si dissolvono e si scherza tutti insieme sbocconcellando i panini. Ma un altro colpo del destino è in agguato, perché Pinìn, dopo avere perso il cappello, non trova più anche le 50.000 lire che si era portato dietro per ogni evenienza, ed il suo malumore si trasforma in ira funesta.
Quando si ricomincia a girare, il copione, quanto meno il nostro, non cambia: su e giù per l’argine a suonare ‘Madame Renè’, che da questa esperienza in poi potremo dire di saper suonare a occhi chiusi, anche se con una vaga sensazione di nausea. La storia si ripete, con poche varianti, anche il giorno successivo, quando la stanchezza e la disillusione incominciano palesemente ad affiorare tra noi. E’ ormai chiaro che non vedremo, nemmeno da lontano, attrici bellocce né reciteremo scene intriganti. Quando tutto finisce e ci salutiamo, resta la soddisfazione di avere partecipato a un’esperienza che forse non si ripeterà più e che potrebbe comunque portare un po’ di notorietà alla banda.
Il venerdì successivo arriva una telefonata del solito ‘Rodoni’: “Ragazzi, questa sera niente prova, perché quelli del film ci hanno gentilmente invitato a vedere le scene girate con noi!” Pensiamo che forse, dopo tutto, il regista ha apprezzato la nostra disponibilità e vuole ricambiare offrendoci un’anteprima delle nostre scene, anche perché ci è stato detto che ci vorrà un po’ di tempo prima di vedere il film nelle sale cinematografiche. Quindi ci troviamo con parenti, amici, curiosi e familiari al seguito nel salone della proiezione già con largo anticipo, per non perderci nulla delle nostre immagini. Finalmente l’aiuto-regista saluta e ringrazia, le luci si spengono ed il videoregistratore incomincia a ronzare. Vediamo immagini in penombra di persone che si muovono in una casa. Dopo qualche minuto la situazione non cambia e allora il tecnico si scusa e aziona l’avanti-veloce: ancora riprese di interni fino al termine della cassetta. “Che sbadati, abbiamo sbagliato cassetta. Ma ora mettiamo quella giusta”. Niente, anche nella seconda cassetta delle scene girate con la banda nemmeno l’ombra. “Ci dispiace, evidentemente la cassetta con le vostre riprese è già partita per Roma per il montaggio. Comunque vi avviseremo appena il film sarà pronto e vi promettiamo che sarà proiettato in anteprima a Casale. Grazie e arrivederci”. Nell’imbarazzo generale usciamo e ci guardiamo in faccia; qualcuno scuote la testa.
Sono passati ormai 5 anni da allora e del film si è persa ogni traccia. Resta il ricordo di un’esperienza particolare vissuta in allegria (con l’eccezione dello sfortunato Pinìn), ma ancora oggi tra noi aleggiano molti dubbi sull’operazione cui abbiamo collaborato.